Augias, viaggio alla scoperta dell'identità italiana nel tempo
Al BPER Forum Monzani, per Incontri con l’autore, ha raccontato il suo ultimo libro. Vizi e virtù del Belpaese e il rapporto degli italiani con la fede
Corrado Augias ha dedicato fin dagli inizi della sua carriera attenzioni e riflessioni al nostro Paese sotto tanti punti di vista. Anche quando è stato per lunghi periodi all’estero, il suo occhio ha sempre cercato di mettere in evidenza, come una cartina tornasole, le peculiarità dell’Italia rispetto alle altre nazioni.
Questa nostra Italia. Luoghi del cuore e della memoria è l’ultima fatica letteraria di uno dei giornalisti, intellettuali e scrittori che meglio ha esplorato le viscere della Penisola in lungo e in largo, visitando le sue straordinarie città ma andando anche alla scoperta dei piccoli borghi, delle campagne, delle montagne e del mare: accanto agli aneddoti e ai segreti di Milano, Roma, Napoli e delle maggiori città, ci sono anche la Recanati di Giacomo Leopardi, le colline marchigiane, i paesini dell’Umbria e tanti altri territori remoti ma pieni di storie da raccontare. È dunque un viaggio da Nord a Sud ma anche un viaggio nel tempo, perché l’identità di un popolo si trova in buona parte anche nel passato.
Il percorso di Augias non è privo di riferimenti biografici, come quelli relativi al nonno Corrado (da cui lui prenderà il nome), che comandava la squadriglia dei tre piloti che sorvolò i cieli durante la Marcia su Roma, o al padre, ufficiale dell’Aeronautica in servizio in Libia, dove pure lui ha trascorso una parte dell’infanzia. Storie e luoghi che fanno tutti parte di quel macrorganismo chiamato Italia del quale proviamo a scoprire il filo conduttore.
Molto spesso nel nostro stesso immaginario, ma anche in quello di chi ci osserva da fuori, appariamo come un ensemble eterogeneo, un caleidoscopio di genti che stanno assieme solo per questioni politiche.
Augias, in cosa consiste dunque l’identità di questo Paese, ammesso che ne esista una, visto che ad uncerto punto nel libro contempla anche l’ipotesi che non esista affatto?
“Non è semplice identificare i tratti distintivi degli italiani, non c’è dubbio, ma scava scava qualche cosa si trova. Per esempio la lingua, che è uno degli elementi connotativi più forte per un popolo. Per noi questo vale due volte anche se i dialetti in certe zone sono molto diffusi, perché la nostra lingua è nata ben prima che nascesse il Regno d’Italia: l’Accademia della Crusca venne fondata infatti nel ‘500 quando il concetto di Italia era una cosa astratta, affidata a qualche poeta, e l’idea stessa di nazione in Europa sarebbe comparsa solo due secoli dopo. La lingua ci tiene insieme, ma contemporaneamente ci rende diversi dagli altri. La stessa letteratura da noi prima ancora che uno strumento di comunicazione, va considerata come un fattore comune”.
Cita anche la cucina e il grande patrimonio culturale che ha radici molto profonde…
“Sicuramente l’amore per la cucina non è da sottovalutare. Noi abbiamo una delle poche grandi cucine del mondo. Chi ha avuto la sfortuna di passare lunghi periodi all’estero, soprattutto in certe regioni, di questo si rende particolarmente conto (sorride). Poi c’è appunto un’eredità diffusa che fa dell’Italia quello che un tempo veniva chiamato il “Giardino d’Europa” per via delle tante cose incantevoli che abbiamo".
C’è un certo compiacimento patriottico nelle sue parole…
“Io adoro questo Paese, con l’avanzare dell’età scopro in me uno spiritico patriottico, ma non quello violento, becero, che sfocia nel nazionalismo estremo: è piuttosto un sentimento ‘alla Gobetti’, cioè amo l’Italia con l’‘orgoglio degli europei e lo spirito dell’esule in patria’”.
Anche altri Paesi, per esempio Francia e Regno Unito hanno un grande capitale culturale, perché l’Italia dovrebbe essere particolarmente orgogliosa del suo?
“In Francia al di fuori di Parigi e nel Regno Unito al di fuori di Londra certamente c’è dell’altro, ma non esiste una densità di cultura, di arte e di poesia così profonde, intense e diffuse come lo sono da noi: in Italia ogni borgo, ogni valle e ogni città è importante per qualcosa, come da nessun’altra parte del mondo. Quando si dice che noi abbiamo il più grande patrimonio artistico del pianeta, è una verità assoluta. Abbiamo inventato la bellezza: questa è una cosa di cui dobbiamo essere orgogliosi”.
Lei si è occupato in diverse fasi di fede e religione: il cristianesimo può essere un elemento che fa da collante?
“Si, ma sempre meno. Il cristianesimo per lungo tempo ha monopolizzato gli atti fondamentali della nostra esistenza, come il battesimo, la cresima, ecc. Se lei però oggi parla coi giovani, vede che gli argomenti di tipo spirituale e specialmente cristiano raramente entrano nei loro discorsi, e di questo c’è una prova certa: le questioni religiose non le vede più trattate in un film o lette in un romanzo moderno. Se lei pensa all’importanza che avevano invece nelle opere di Manzoni, di Fogazzaro, o di Verga con il suo realismo e quanto invece sono assenti oggi nel cinema e nella letteratura, si renderà ben conto della differenza. Il cattolicesimo ha formato le coscienze degli italiani ‘sanza religione e cattivi’ - diceva Machiavelli - ma va distinto dalla Chiesa cattolica nella sua espressione temporale, che anzi è stato una delle cause del nostro ritardo nel formarci come nazione”.
A proposito ancora di questioni religiose, nel 2014 scrisse Tra Cesare e Dio. Come la rivoluzione di Papa Francesco cambierà gli italiani. Sono passati quattro anni, il Pontefice ha davvero cambiato gli italiani?
“Mi fa una domanda delicatissima, perché io non sono cattolico ma ho osservato molto papa Francesco per comprendere le conseguenze politiche del suo insegnamento. Devo dire che dopo un certo ottimismo iniziale, temo i rischi dovuti a un’eccessiva volontà di divulgazione della fede religiosa e la conseguente possibilità che venga ridotta a mero fenomeno sociologico. Questo può quindi trasformarsi in un handicap: la dimensione spirituale dovrebbe conservarsi in una sfera più composta, e per questo credo che debba restare nel silenzio della coscienza. Vedo nell’azione del pontefice qualcosa di non positivo, cioè il pericolo che banalizzi appunto la fede e la trasporti su una superficie troppo lontana dai concetti più autentici”.
Pur ateo, si è sempre definito un uomo con una sua spiritualità: in cosa consiste?
“Beh, innanzitutto seguo il principio del ‘neminem ledere’, cioè cercare di non nuocere: ognuno di noi, soprattutto in gioventù, ha fatto inevitabilmente del male a qualcuno e questa cosa bisogna cercare di evitarla il più possibile. Un secondo aspetto riguarda il godimento del creato: è in realtà un insegnamento di Francesco d’Assisi - a me molto caro - che era un genio. Pazzo, nevrotico, anoressico, isterico, ma pur sempre un genio, piegato al bene. Il Cantico delle Creature di Francesco è per esempio una composizione di grande valenza etica che io senz’altro seguo. Poi c’è l’amore. Io non riesco più a odiare nessuno, non voglio fare il santo – sia chiaro – ma tendere a questo principio credo che sia molto importante per ciascuno di noi”.
Torniamo al tema della “nostra Italia”. Sottolinea spesso che la sua stessa conformazione geografica non ha aiutato a formarla come nazione.
“Naturalmente. Basti pensare che una parte del Piemonte è a nord di Lione e una parte della Sicilia è a sud di Tunisi per rendersi conto di come la sagoma geografica dell’Italia, così allungata, non abbia agevolato le comunicazioni e di conseguenza il processo di unificazione. La Penisola è inoltre piena di barriere naturali come catene montuose, fiumi e laghi che spezzano inevitabilmente il territorio e creano sacche di microculture a sé stanti. Pensi invece all’omogeneità del territorio francese, grande quasi il doppio dell’Italia: là è stato più facile che si affermassero dinastie reali come poteri unificanti. A noi po’ ci ha diviso anche l’evoluzione stessa della storia politica e militare: lo Stato della Chiesa per diversi secoli è stato per esempio come un “tappo” che ha diviso Nord e Sud. Ma questa debolezza alla fine si è evidentemente trasformata anche in un punto di forza. Infatti ciascuno dei duchi e dei principi che si sono avvicendati per tanto tempo alla guida dei vari staterelli d’Italia ha voluto essere il migliore di tutti, per cui oggi ci troviamo ad abitare in un museo sterminato che ovunque offre qualcosa di importante. Ecco che la nostra storia, in mezzo a tante situazioni oscure, pur è capace di bagliori che ci accomunano tutti”.
Ha studiato e lavorato molto all’estero, ha svolto numerose ricerche che hanno condotto al filone letterario dei “Segreti” e al programma tv dello scorso anno. Questo l’ha portata a focalizzare meglio vizi e virtù dell’Italia?
“Sicuramente. Guardare l’Italia da fuori, specialmente da molto lontano e per lunghi periodi, ti aiuta a vedere in prospettiva gli innumerevoli difetti ma anche i pregi di questo Paese. Stessa cosa mi dicono i miei nipoti: ne ho uno che lavora in Medio Oriente, è contento della sua vita, ma quando torna a casa...”.
Gli italiani fuori si riconoscono subito, senza che si sappia ancora come parlano e cosa mangiano. Da che cosa lo si intuisce?
“Ci sono molti aspetti che ci caratterizzano immediatamente. Un certo modo di vestirci, di muoverci, di gesticolare. Uno stesso modo di stare insieme con le persone, con gli amici o col proprio partner. Tu a volte guardi da lontano un gruppo di persone e pensi subito: ‘quelli sono italiani!’. Allora mi convinco che un’impronta comune a tutti noi realmente c’è”.
Cita anche Leopardi, i cui versi hanno tracciato un profilo interessante degli italiani di duecento anni fa, ma per certi aspetti pare ancora attuale…
“Verissimo. Leopardi scrisse a 26 anni un discorso “sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani”, indagando con una lucidità quasi accecante sul perché a noi manchi questo senso di appartenenza. Così facendo però riconosce in realtà anche alcuni punti di unione: la vivacità del carattere, l'amore per gli spettacoli, il passeggio e il diletto dei sensi, che “nulla hanno a che fare con quella società che hanno le altre nazioni”, cioè appunto il senso civico, della comunità e l’amor di patria che oggi potremmo chiamare anche ‘senso dello stato’. È interessante, come in questo caso, rifarsi a poeti e scrittori perché beneficiano di una percezione lungimirante che altri non hanno, e possono quindi illuminare il nostro cammino con un raggio di luce, anche in un momento come questo”.
Abbiamo visto radici, pregi e difetti dell’Italia. Chiudiamo con un messaggio ottimistico per il nostro Paese.
“Noi abbiamo avuto una storia densa di difficoltà, tra epidemie, guerre, invasioni, disastri naturali; di recente ci ha investito una grave crisi economica e pure oggi viviamo un periodo di profonda incertezza. Nonostante questo, eccoci qua: vestiti decorosamente, con le nostre automobili, i nostri telefonini di ultima generazione, tutte le nostre belle cose in qualche modo ancora in piedi. Qualcosa vorrà pur dire…”.
CHI E' CORRADO AUGIAS
Corrado Augias è nato a Roma nel 1935. Ha cominciato la sua carriera giornalistica in Rai, per poi curare le corrispondenze da Parigi e da New York per La Repubblica. Scrittore giallista, si è dedicato successivamente alla composizione di saggi. Tra i più noti, I segreti di Parigi, I segreti di Londra, I segreti di New York e I segreti di Roma. Nel 2006 ha pubblicato, insieme a Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù. È stato anche conduttore televisivo di programmi culturali per la Rai, con una breve parentesi per Telemontecarlo. Già ospite al BPER Forum Monzani, a gennaio ha presentato il suo ultimo saggio, Questa nostra Italia. Luoghi del cuore e della memoria, edito da Einaudi.