SOCIETA'

Fake news, è boom: una tendenza crescente alla disinformazione

Notizie false e mondo reale sono percepiti allo stesso modo, in un ambiente in cui non si riesce più a distinguere l’informazione dalla manipolazione

di Davide Lamagni

"The medium is the message”. Cinquant'anni fa il pensiero del sociologo canadese Marshall McLuhan viene riportato per la prima volta in Italia nel saggio intitolato “Gli strumenti del comunicare” (Il Saggiatore, 1967). Affermando che il mezzo è il messaggio McLuhan vuole spingere le persone a indagare il criterio con cui è organizzata la comunicazione di massa. E una volta scoperto il caso, è chiaro che il concetto di “media” non comprende solo quelli tradizionali (giornali, radio, tv) e i nuovi (rete e social network), ma tutto ciò che trasmette informazioni, nelle forme più disparate e sconosciute. Infatti, è importante sapere che gli strumenti della comunicazione non sono mai neutrali, ma producono effetti su chi li usa e, in particolare, su chi li subisce inconsapevolmente. Un esempio: lo stesso film (inteso come contenuto) visto alla televisione o al cinema (il mezzo) ha un effetto diverso sullo spettatore. Di conseguenza, la struttura della televisione e la struttura del cinema hanno un impatto particolare nella società e sugli individui che deve essere colto e analizzato attentamente.

Il sociologo canadese afferma che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è un’estensione e un potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che retroagisce con i messaggi dei media già esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso l’ambiente sociale, per cui è necessario valutare l’impatto dei media in termini di “implicazioni sociologiche e psicologiche”. Fra i temi di McLuhan più noti, quello secondo cui ogni nuova tecnologia esercita su di noi una potente lusinga, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di “narcisistico torpore”. Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti le assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare quella tecnologia dall'esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto. Siamo in grado di intuirli in anticipo e, in parte, di controllarli. 

Studi e affermazioni di oltre cinquant'anni fa, ma più che mai attuali, che sembrano puntare il dito contro la società moderna, alla gente di oggi, che crede a quello che gli fa più comodo. E a una delle mode del momento, le fake news, le notizie false che in gergo chiamiamo anche “bufale” e che vengono instillate, soprattutto tramite i social, nella collettività come un batterio invisibile e pericoloso; con la conseguente “invasione degli imbecilli” denunciata da Umberto Eco, ormai due anni e mezzo fa, durante la consegna della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media a Torino. 
Nel tentativo di frenare la diffusione virale di fake news i big player sono alla ricerca di contromisure attraverso il potenziamento e l’aumento di visibilità dei servizi di “fact-checking”, l’incremento delle risorse umane dedicate al controllo di quello che circola sui social network come prodotto di algoritmi e la ricerca di soluzioni per modificare visivamente i contenuti che godono di requisiti di affidabilità. Tra questi, Facebook finisce così per diventare il giudice della credibilità dell’informazione. Una delle ultime riforme di Mark Zuckerberg prevede infatti la delega ai miliardi di utenti del suo canale del processo di selezione dell’autorevolezza di testate giornalistiche, radio, tv, blog e siti. Una norma che lascia più che perplesso il mondo dell’editoria e dell’informazione, perché Facebook sulla base della statistica stabilirà chi deve avere priorità nella sezione notizie (anche chiamata News Feed). 

“Tra i sondaggi sulla qualità del nostro servizio - ha scritto Zuckerberg in un post di poche settimane fa - chiederemo alle persone se conoscono una certa fonte giornalistica e se si fidano di quel media. Chiediamo che alcune testate giornalistiche abbiano la fiducia soprattutto dei propri lettori, mentre altre siano riconosciute come testate autorevoli anche da chi non le segue direttamente”. Una dichiarazione successivamente ammorbidita dal responsabile del News Feed di Facebook, Adam Mosseri, che ha affermato “non saremo noi a definire ciò che è vero e ciò che è falso. Terremo conto anche di quanto le notizie sono rilevanti e interessanti per le comunità locali”. Una riforma, comunque, che lascia più dubbi che certezze. 

Per segnalare le fake news, l’Italia ha invece messo a disposizione degli utenti del web un “pulsante rosso”. Si tratta di un servizio, presentato un paio di mesi fa, offerto dalla Polizia postale e delle comunicazioni. Ricevute le segnalazioni, un team dedicato del Cnaipic (Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche) le verifica attentamente e, in caso di accertata infondatezza, pubblica una smentita. A Cambridge, invece, si è perfino arrivati a creare un videogioco che faccia da deterrente alla proliferazione delle bufale. I ricercatori della rinomata Università inglese hanno pubblicato uno studio sul Journal of Risk Research, in cui hanno presentato un gioco che avrebbe il potere di “vaccinare” contro le fake news. Il game è a disposizione di tutti all’indirizzo www.fakenewsgame.org ed è in sintesi un istigatore a creare e diffondere bufale. Il gioco segue passo dopo passo il creatore di notizie false, fornisce strumenti per diffonderle, immagini, cartelli, slogan, suggeriscono strategie, fomenta a diffondere odio e sfiducia. Il giocatore aumenta il suo consenso in ragione di quanto riesce a diffondere bufale pur restando attendibile. Un’idea divertente, ma che di primo acchito sembra essere poco credibile. 


La proliferazione di fake news su internet e sui social media ha sicuramente acuito il senso di scarso credito, un fenomeno che si inserisce in un contesto già di partenza caratterizzato da bassi livelli di fiducia verso i media tradizionali. Il concetto stesso di “fake news” può essere inteso trasversalmente. Infatti, se da una parte viene riferito a notizie inventate con l’inganno per generare profitto o per screditare altri, dall'altra arriva a incorporare il concetto di notizie che hanno di per sé un fondamento, ma vengono in qualche modo manipolate per secondi fini. Si tratta quindi di stabilire l’effettiva tendenziosità delle notizie. 
Secondo il Rapporto Censis 2017 sulla Comunicazione, al 53% degli utenti internet italiani è capitato di dare credito a notizie false circolate sul web, mentre dall'ultimo rapporto dell’Autorità per le comunicazione (Agcom) emerge chiaramente che fake news e disinformazione online sono le ombre che hanno caratterizzato il sistema dell’informazione del 2017. Il report sottolinea che “da un decennio almeno il sistema informativo ha iniziato a mostrare difficoltà a sostenere i propri costi. Ne hanno fatto le spese, per primi, i mezzi tradizionalmente di sola informazione, quali quotidiani e periodici. La riduzione dei ricavi sottostante all'affermazione di un modello informativo online e gratuito ha così indotto gli editori a tagliare costi e investimenti nel prodotto informativo, innescando una spirale che si è riflessa sulla qualità dell’informazione e quindi sulla reputazione del mondo dei media”. 

Pochi decenni fa avremmo detto che la libertà poteva essere minacciata dalla scarsità delle informazioni, ma a nessuno sarebbe venuto in mente che potesse invece essere minacciata da un eccesso. Oggi il concetto più informazione uguale a più libertà si sta modificando. Ne rimane, però, sempre uno ben saldo: studiare e capire prima di parlare e scrivere di qualsiasi cosa.