SOCIETA'

Impariamo dai centenari sardi i segreti della longevità

Recenti studi rivelano l’importanza delle relazioni sociali come nuovo fattore decisivo dell’elisir di lunga vita. E la CNN ne fa un documentario

di Davide Lamagni

Viviamo nell'era dell’eterna giovinezza, dell’ossessione per l’età. Oggi è sempre più facile sentire parlare di età: comincio ad avere una certa età, alla mia età, non ho l’età. Un’ossessione legata soprattutto al tempo che conduce alla vecchiaia, l’ultima parte del ciclo vitale umano. Ma quanto viviamo in media? 
L’Italia registra performance superiori alla media europea quanto a stato di salute della popolazione, soprattutto su aspettativa di vita alla nascita (prima in Europa e seconda al mondo dopo il Giappone) e tassi di mortalità. Secondo l’Istat, l’aspettativa di vita nel Bel paese è pari a 82,8 anni, ma nell'ultimo decennio gli anni vissuti non in buona salute sono aumentati, attestandosi a 20 (+4,2 anni dal 2006). L’aumento dell’aspettativa di vita ha contribuito all'aumento della popolazione anziana, che oggi è pari al 22% della popolazione totale e raggiungerà il 34% entro il 2050.

C’è però una regione in Italia in cui la speranza di vita è notevolmente più alta rispetto alla media non solo nazionale, ma mondiale. È la Sardegna, che ospita nelle regioni dell’Ogliastra e della Barbagia la cosiddetta “zona blu”, uno dei luoghi con la più alta concentrazione di centenari. Antonio Todde di Tiana, in provincia di Nuoro, è stato il primo uomo al mondo a vivere fino a 110 anni. Nato nel 1889, morì nel 2002 all'età di 113 anni. 
La longevità dei sardi è ormai famosa ai più e continua a destare stupore e interesse. Già nel 1995 nacque il progetto Shardana, che raccolse le analisi di oltre 13.500 sardi e 230 mila campioni con l’obiettivo di ricostruire il segreto della longevità degli abitanti dell’Isola e compiere nuove scoperte sulle malattie endemiche. Venne così creata una banca dati tra le più ricche al mondo, acquistata nel 2016 da una società inglese per poco più di 250 mila euro.

Nelle scorse settimane anche il colosso dell’informazione americana CNN ha dedicato un documentario sull'argomento. Nello specifico, sugli studi sui markers psicologici dell’invecchiamento condotti dall'equipe di ricerca composta da Maria Pietronilla Penna, docente di Psicologia generale, Chiara Fastame e Paul Hitchcott, ricercatori del Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia dell’Università di Cagliari. Partendo dall'assunto che i buoni geni, una dieta basata sul consumo di meno carne, più verdure e cereali e l’esercizio fisico sono sempre citate come buone abitudini in grado di ridurre sensibilmente il rischio di mortalità, la ricerca si è spostata sull'influenza dell’interazione sociale come fattore aggiuntivo all'elisir di lunga vita.
Gli studi effettuati da Fastame e Hitchcott documentano, in particolare, come la cura e l’attenzione da parte dei membri della famiglia e l’essere coinvolti nelle attività della comunità aiutino a mantenere uno stato psicologico sano, che è fondamentale per il benessere generale. Gli anziani della “zona blu” vengono infatti considerati una risorsa dalla loro comunità, perché depositari delle conoscenze e delle tradizioni locali. La domanda fatta dai giornalisti americani ai ricercatori è stata “Is a social life the answer to longevity?”. La vita sociale è la risposta alla longevità?

LA “ZONA BLU”
La Zona blu o Blue Zone è un termine usato per identificare un’area geografica del mondo in cui la speranza di vita è notevolmente più alta rispetto alla media mondiale. All’inizio degli anni 2000 gli studiosi Gianni Pes e Michel Poulain hanno pubblicato su una rivista specializzata il loro studio demografico sulla longevità umana, che identifica la provincia di Nuoro come l’area con la maggiore concentrazione di centenari al mondo. 
Gli studiosi, per procedere nel lavoro, tracciavano sulla mappa delle serie di cerchi concentrici blu che indicavano le zone con la più alta longevità, da qui il termine “zona blu”. Ora il termine è usato per riferirsi a qualsiasi area con popolazioni straordinariamente longeve, tra cui figurano, oltre la Sardegna, l’isola di Okinawa (Giappone), Nicoya (Costa Rica), Icaria (Grecia) e la comunità di avventisti di Loma Linda in California. Per scoprire l’unicità dei luoghi dell’Isola, Pes analizzò inizialmente il patrimonio genetico della popolazione, credendo che l’isolamento geografico potesse modificare i geni della longevità. Ma i fattori genetici spiegavano solo il 20-25% della vita media. Successive interviste con persone anziane e dati storici hanno suggerito anche l’estrema importanza di fattori sociali e psicologici.


Una teoria riportata anche dal fotografo freelance Luigi Corda nel suo ultimo libro “100 Centenari/100 Centenaries”. L’autore, attraverso i ritratti di cento centenari sardi, racconta un intero secolo di storia. Per realizzarlo ha trascorso due anni a fotografare e intervistare centenari nelle regioni della Barbagia, dell’Ogliastra, della Trexenta e del Medio Campidano. Nel libro viene sottolineato il ruolo fondamentale della famiglia nella possibilità di vivere una vita così lunga. “Il fatto di sentirsi ancora importanti - scrive Corda -, essere al centro dell’attenzione e capo famiglia, rende attivi e dà loro la forza di andare avanti, sottolineando l’importanza del nucleo familiare, oltre agli aspetti genetici, all'alimentazione e alla religione”. L’autore ha inoltre notato l’ottima salute di tutti i centenari incontrati.

L’EFFETTO DELLE RELAZIONI SOCIALI
“In questi paesi della Sardegna - ha affermato Fastame in una recente intervista - parenti e vicini si prendono cura degli anziani, rendendo la casa uno spazio di contatto quotidiano tra giovani e meno giovani. Le generazioni più anziane non sono viste come un peso, ma piuttosto come persone che trasmettono valori e conoscenze locali. Sono una risorsa per la comunità”. Gli anziani continuano ad avere, quindi, un ruolo attivo e prezioso nella comunità, mantenendo la loro mente acuta e lucida, perché essere coinvolti in molte attività, fisiche o culturali,
significa avere e mantenere una mente più efficiente. Nonostante esista da tempo una vasta letteratura sui benefici alla salute delle amicizie e dei legami familiari, il dipartimento di psicologia dell’Università di Cagliari ha scoperto, in uno studio del 2017, che gli anziani della zona blu della Sardegna sono coinvolti in maggiori attività sociali e ricreative rispetto alle popolazioni più anziane di altre aree. Ciò ha sviluppato la creazione di un diverso modello psicologico legato a vite più lunghe.

PENSARE POSITIVO MIGLIORA LO STATO DI BENESSERE
Secondo Hitchcott, psicologo dell’Università di Cagliari, le persone anziane che abitano in questi paesi della Sardegna centrale, nonostante non conducano una vita idilliaca, presentano una sintomatologia depressiva molto bassa. La ricerca di Hitchcott ha anche scoperto che queste persone hanno una memoria migliore rispetto ai soggetti del Nord Italia. Il motivo? Sono soggetti che vengono coinvolti di più nelle attività, sono meno sedentari e svolgono più attività fisiche; tutti aspetti che insieme promuovono il benessere, fisico e psicologico.
Le componenti sociali sono quindi importanti per evitare l’isolamento e la depressione, ma sono intrecciate con altri fattori per consentire alle persone di vivere a lungo e arrivare alla fatidica soglia dei cento anni e, perché no, di superarla.