SOCIETA'

Sofia Corradi, parla l’italiana che inventò il Programma Erasmus

Compie 50 anni il suo Promemoria che fece il giro del continente e sensibilizzò le istituzioni in favore dell’integrazione negli studi

di Marcello Floris

Viene affettuosamente soprannominata dai suoi ex allievi ''Mamma Erasmus'', perché il famoso programma di mobilità studentesca dell’Unione europea l’ha inventato e voluto fortemente proprio lei. Pedagogista, ha svolto una brillante carriera accademica. 
Oggi ha 85 anni, vive a Roma, continua a interessarsi di Università e formazione, riceve ancora tante telefonate e email per qualche consiglio, e non smette mai di pensare a nuove idee. Ha speso buona parte della sua vita per veder realizzato il suo progetto, ma alla fine ha vinto brillantemente tanto che l’Erasmus continua a riscuotere grande successo, anzi è in continua ascesa. Ora è diventato infatti Erasmus Plus, proprio per via della sua maggiore completezza e diffusione, tanto che ''per il periodo 2020- 2027 ci saranno stanziamenti europei per 45 miliardi, il triplo rispetto al settennio precedente. E questi sono i solo i fondi europei, poi ci sono quelli messi a disposizione da altre istituzioni'' – ci fa notare subito Sofia Corradi. 

Ma partiamo dall'inizio: nel 1957, studentessa in Giurisprudenza alla ''Sapienza'' di Roma, parte per gli Stati Uniti, in un’epoca in cui comunicare tra continenti era davvero costoso e complesso. Non esisteva naturalmente WhatsApp e andare oltre Oceano era un’autentica avventura… 
Ero al mio quarto anno di Università - racconta la Corradi -, in regola con gli esami, e stavo per laurearmi. Presentai domanda per una borsa di studio Fulbright, un antenato dell’Erasmus, per frequentare un anno accademico negli Stati Uniti. Erano contributi prestigiosi, ambitissimi. Il mio tentativo ebbe fortuna e riuscii a ottenere quella borsa. Scoppiai di felicità! 

Quindi la partenza per New York. Là non diedero troppa importanza al fatto che il suo percorso precedente non provenisse da Università americane. 
Esattamente. Anzi, non diedero neanche tanto peso al fatto che mi mancavano tre esami per finire il ciclo di studi: mi ammisero addirittura a un Master in diritto comparato riservato a studenti già laureati, conclusosi con tanto di consegna della pergamena e di cappello d’onore in testa, come nei film!. 

Quella esperienza americana le fu realmente utile? 
Moltissimo. Una volta finiti gli studi, a differenza di altri colleghi laureati insieme a me, io non ho mai dovuto fare grossi sforzi per cercare lavoro: i vari selezionatori del personale appena leggevano che avevo fatto un’esperienza all'estero così significativa, mi stendevano davanti tappeti rossi. Una bella soddisfazione! In America inoltre ho conosciuto tanta gente semplice da cui ho imparato molto, ma anche diversi personaggi importanti. Pensi che una volta mi ritrovai a cena con David Rockefeller, che naturalmente tempestai di domande. Alla fine non solo non se ne ebbe a male e rispose alle mie curiosità, ma gli piacqui così tanto che chiese che io venissi invitata in altre occasioni: una bella soddisfazione anche questa!. 

Cosa le insegnò di interessante Rockefeller? 
Ah, mi diede tanti bei consigli. Una volta mi disse: ''Studia sempre tanto e stai informata su tutto, perché quando ti trovi a trattare in una posizione di forza, le cose sono in discesa; ma quando sei la parte debole, allora son dolori. Se i tuoi avversari però vedono che sei ben preparata, sempre precisa e impeccabile, allora avranno paura di te, delle tue eventuali domande scomode, delle tue obiezioni, e tutti saranno molto più disposti a cedere alle tue richieste più di quanto tu non possa immaginare''. 

Dopo un anno, finito il Master negli States, è tornata in Italia, pretendendo che i suoi studi venissero riconosciuti dalla sua Università. Invece? 
Invece l’addetto della segreteria prese in mano con sufficienza la mia pergamena e lesse: ''Columbia University… mai sentita nominare! Signorina - insisteva urlando a malo modo - veda di darsi da fare se vuole una laurea, anziché andarsene in giro per il mondo a divertirsi!'' Pur faticando a smaltire questa delusione, diedi gli esami previsti dal piano di studi, mi laureai, ma da quel momento fui decisa a dare battaglia perché cose del genere non capitassero più ad altri studenti. 

Entrò giovanissima nel mondo accademico e fece il giro di Università, istituzioni e di tutti i “palazzi” che potevano darle ascolto, decisa a raggiungere il suo obiettivo. Per lungo tempo però non ottenne riscontri molto positivi. Che tipo di ostacoli incontrava? 
Purtroppo è stata una lunga e faticosissima lotta, ma devo dirle che i veri studiosi e gli scienziati mi davano ascolto e retta subito, senza dover insistere più di tanto. I burocrati e certi accademici, al contrario, non capivano, rifuggivano da qualunque idea innovativa e vedevano fantasmi dappertutto. Purtroppo bisognava fare i conti anche con loro. 

Cosa chiedeva esattamente? 
La possibilità per i ragazzi di sostenere esami in Università straniere, così da poter fare, prima ancora che un periodo di studio, un’esperienza di vita adulta in cui imparare a cavarsela da soli e ad ampliare i propri orizzonti, ma all'interno di una rete di sicurezza. Si parlava di integrazione europea in tutti i campi, ma mai a livello di istruzione, che per me invece è basilare. Fino al ventennio precedente i giovani andavano negli altri Paesi europei praticamente solo per scannarsi in guerra: era ora che si pensasse di andare a dare e a ricevere qualcosa di più importante e costruttivo. 

Nel 1969, esattamente 50 anni fa, scrisse il suo famoso Promemoria, una sorta di ''breviario'' che portava sempre con sé per consegnarlo a tutti i suoi interlocutori. Potremmo dire che l’Erasmus è nato da lì? 
In un certo senso si. Quello fu il primo documento strutturato che feci circolare dov'erano contenuti i principi cardine di quello che poi è diventato l’Erasmus, dove spiegavo nel dettaglio l’importanza di facilitare e organizzare il riconoscimento degli studi esteri fra i vari Paesi. 

Riuscì ad avere ragione quasi vent'anni dopo, nel 1987. Cosa determinò la svolta? 
Non è stata in realtà l’abilità a convincere questa o quella persona. Io facevo conferenze, parlavo con tutti e persuadevo tante persone: alla fine è stata l’opinione pubblica a essere più convinta. Non si poteva più aspettare o creare ostacoli all'infinito, così piano piano furono vinte le ultime resistenze a livello politico, il piano giunse alla Commissione Europea e finalmente arrivò a dama. 

Da allora però l’escalation positiva di successo non si è fermata più
Sì, tuttora mi chiamano erasmiani della prima ora ma persino giovanissimi ringraziandomi per tutto ciò che ho fatto e dicendomi che sono uomini e donne diversi, migliori, grazie all'esperienza dell'Erasmus. In molti casi quei mesi fuori casa hanno condizionato la scelta della loro professione, della città in cui stare e quindi un po’ tutta la loro vita: un traguardo sensazionale che mi rende davvero orgogliosa.