SOCIETA'

Startup, innovazione e sviluppo: quale futuro in Italia?

Le imprese all'avanguardia, poco citate negli ultimi dibattiti economici, sono importanti per migliorare il livello di competitività del Paese

di Marcello Floris

La recente campagna elettorale ha visto fronteggiarsi movimenti, coalizioni e partiti su argomenti quali immigrazione, sicurezza, lavoro, rapporti con l’Unione europea.

È stato molto poco discusso, invece, un tema ugualmente essenziale per le prospettive di crescita e sviluppo del Paese: quello del sostegno a startup e pmi innovative. Perché questi argomenti dovrebbero essere più presenti nell’agenda politica? Perché di per sé questo tipo di aziende sono in grado determinare crescita economica e di creare un humus fertile per la competitività che porterebbe di conseguenza benefici diffusi non solo all’economia ma anche alla nostra società nel suo complesso: idee, sperimentazioni e scoperte migliorano il nostro tenore di vita, possono portare a maggiori livelli di sicurezza, a una migliore tutela della salute, a un aumento della diversificazione e della qualità di prodotti e servizi, a una protezione dell’ambiente più scrupolosa. Oltretutto, modernizzazione e conoscenza viaggiano a ritmi un tempo impensabili, per cui non fare investimenti o rimanere troppo inerti in questa direzione significa restare sempre indietro e dipendere da altri Paesi più attivi. Oggi, quindi, è fortemente auspicabile che questi temi facciano parte delle politiche economiche attive. Le basi su cui lavorare sono interessanti: l’Italia è piena di giovani capaci e ben istruiti che preferirebbero mettersi in gioco nelle loro città piuttosto che dover emigrare, ma non sarebbe male ambire anche a far tornare i cervelli già andati in fuga o creare le circostanze giuste per attirare quelli stranieri. Le startup, pur tra tante difficoltà e incoerenze, sono in continuo aumento: 8.315 a dicembre 2017, secondo i dati di InfoCamere, +74% negli ultimi due anni. Ma fra tutte queste, troppe continuano ad annaspare alla ricerca di finanziamenti che stentano ad arrivare. Essere startup in Italia oggi significa essere dentro all’ormai famoso “Registro” (introdotto col decreto “Crescita 2.0” del ministro Passera, nel 2012) al quale si accede se si rispetta una serie di requisiti di input, forse un po’ troppo formali e burocratici per un mondo invece basato sulla dinamicità. Questa è la  condizione principale per godere di una serie di diritti e facilitazioni, ma anche per beneficiare di una disciplina del lavoro ad hoc.

Nelle economie internazionali, invece, ci si riferisce alle startup parlando essenzialmente di un business model scalabile e ripetibile (cioè che può crescere velocemente e può essere riproposto in luoghi diversi), e il loro successo dipende per lo più dall’idea imprenditoriale che portano avanti, perché sulla base di questa riescono a ottenere non solo prestiti agevolati ma anche i più ambiti capitali di rischio attraverso i quali sono le aziende già affermate a investire su una startup che propone una bella idea, magari ad alto  contenuto tecnologico e innovativo. È una pratica fortunatamente in ascesa anche in Italia, dove nell’ultimo anno il numero degli imprenditori che hanno scelto di investire in startup è cresciuto del 31%: un sistema di approvvigionamento in più che si affianca ai fondi dedicati e ai prestiti bancari. Per quanto riguarda questi ultimi, alcuni istituti cominciano a considerare questo universo con maggiore interesse, mentre inizialmente era visto con molta diffidenza e considerato troppo denso di incognite. Anche BPER Banca è attenta a intercettare le opportunità del settore: attraverso  prodotti specifici come FIN PMI Startup Innovative partecipa a bandi nazionali e locali come per esempio Sostegno e consolidamento startup innovative della Regione Emilia Romagna, o Smart and Start del Ministero dello Sviluppo Economico, con cui si aiutano le migliori progettualità attraverso istruttorie semplificate e condizioni di credito vantaggiose. Tornando al ruolo delle istituzioni, “Crescita 2.0” ha comunque avuto il merito di porre finalmente l’attenzione su un segmento fino a quel momento poco considerato. Un passo avanti ha fatto il “Piano nazionale industria 4.0” del ministro Calenda nel 2017, che ha incentivato il cambiamento anche nelle realtà già attive sul mercato: nel 2017 il 28% delle aziende ha implementato soluzioni innovative concrete, contro il 15% del 2016. In ogni caso, tutto questo non basta per colmare un gap – ormai risaputo – rispetto agli altri Paesi occidentali: non c'è una politica coordinata, i fatturati delle startup sono molto bassi e anche il numero delle persone occupate.

Cosa si potrebbe fare in più, dunque, perché i modelli virtuosi si moltiplichino e creino un circuito di crescita? Si dovrebbe innanzitutto attivare un cervello unico che pensi a una sistema di sviluppo univoco e concreto. Oggi le iniziative pubbliche in favore delle startup e delle imprese innovative mancano di una vera governance, polverizzata tra diversi ministeri, enti locali e agenzie, con conseguente dispersione di energie, di fonti di finanziamento e di aiuti. Il Regno Unito – patria delle startup – ha lanciato nel 2011 la campagna Start-up Britain, attraverso la quale il governo incentiva le società già affermate a trasferire know how alle nuove imprese. A questo si aggiunge una legislazione chiara, lineare e procedure burocatiche molto  semplici e poco costose. Passi la considerazione che Oltremanica c’è tradizionalmente un’effervescenza rivolta all’innovazione più consolidata della nostra, ma c’è anche il caso della Francia, alcuni anni fa con una situazione analoga alla nostra in tema di startup, oggi senza dubbio più avanti. Lo stato francese ha creato French Tech, il programma lanciato nel 2013 dal governo per promuovere la crescita e lo sviluppo delle startup tecnologiche ad alto potenziale, che ha dato finora ottimi frutti: con questo programma le startup francesi possono contare su una serie di benefici, tra cui l’enorme visibilità data dall’organizzazione di grandi eventi e godere di un supporto notevole per accedere a mercati esteri tramite la creazione di Hub specifici in giro per il mondo.

STARTUP NEL NOSTRO PAESE: CI SONO ANCHE GLI ESEMPI POSITIVI

Per provare a contrastare ogni pessimismo e conferire fiducia alle capacità tecniche e realizzative del nostro Paese, rivolgiamo uno sguardo ad alcune startup italiane che possono fungere da esempi. BPER Banca, attraverso Startup Innovative, ha finanziato importanti progetti che si sono rivelati azzeccati. Nel 2013, per esempio, la piccola startup modenese Energy Way entrò in contatto con l’Istituto, che ha creduto nel suo modello di business. Oggi Energy Way è ormai una PMI, fornisce servizi di Data Management e Intelligenza Artificiale per l’ottimizzazione dei processi a oltre 200 aziende e collabora con Partner tecnologici quali Microsoft e IBM. In poche parole: “Aiutiamo le imprese a trovare soluzioni che rendano più efficienti gli iter produttivi” - spiega il Ceo Fabio Ferrari - “analizzando, attraverso algoritmi matematici, una serie di informazioni di input e restituendo dati in output che fungono da base per nuove strategie”.

Startup e innovazione possono certamente esprimersi anche al femminile, per cui è interessante e significativo raccontare anche la bella storia di due donne che hanno creato e cresciuto una delle migliori startup in Italia: parliamo di Codemotion, che attraverso una piattaforma specializzata gestisce conferenze per sviluppatori e percorsi di formazione in digitale. Fondata a Roma nel 2013 da Chiara Russo e Marta Marzocchi, Codemotion oggi coordina più di 500 eventi all’anno, è presente in cinque Paesi ed è uno dei maggiori punti di riferimento per gli sviluppatori in tutta Europa. I suoi fatturati non sono ancora altissimi ma aumentano di anno in anno e le prospettive di ulteriori crescite sono molto alte.