Conti saluta: "La Sardegna per sempre nel mio cuore"
L'addio al calcio giocato dello scorso maggio ha sancito il legame indissolubile che lega il campione a Cagliari e all'intera isola
E’ stato un altro anno pieno di soddisfazioni per lo sport sardo. Dopo aver assistito (nel 2015) allo storico “triplete” di basket della Dinamo Banco di Sardegna, stavolta è toccato al calcio, con il Cagliari che dopo un solo anno di purgatorio si è riaffacciato al proscenio che conta, la serie A, vincendo il campionato cadetto.
Ma non è finita, perché proprio nei giorni in cui la squadra sarda festeggiava la matematica promozione, un altro grande evento ha scosso i cuori dei tanti tifosi cagliaritani e, più in generale, isolani: il Conti Day. Ovvero la partita d’addio al calcio giocato di Daniele Conti, la bandiera del Cagliari degli anni Duemila; romano, figlio di Bruno, anch’egli simbolo della Roma e della Nazionale, Daniele ha disputato 16 stagioni con la maglia rossoblù, collezionando 434 presenze (record storico).
Alla festa hanno preso parte alcuni dei giocatori più rappresentativi degli ultimi vent’anni della squadra rossoblù: da Villa a Lopez, da Agostini a Herrera, da Allegri a Suazo, ma anche Cossu, Esposito, Bianco, Jeda, Acquafresca, Abeijon, Nainggolan. In campo anche il papà e il figlio Bruno jr.
Al Sant’Elia, Daniele è stato accolto dalla standing ovation dei 16 mila tifosi presenti. Nessuno è rimasto a sedere quando il numero 5 è uscito dal tunnel, accompagnato dai figli Manuel e Bruno, circondato dall’affetto dei suoi ex compagni. Sedici anni di battaglie, tutte con indosso la stessa maglia, non si dimenticano facilmente. Lo si è capito dalle sue parole: “Grazie a tutti, siete stati la mia nazionale”.
Daniele, detieni il record di presenze nella storia del Cagliari. Come ci si sente ad essere il simbolo di una città, di un popolo, di un’Isola?
“E’ un onore. Essere stato il capitano di una squadra così importante mi rende orgoglioso, anche visto il numero di presenze che sono riuscito a raggiungere. Sono arrivato a Cagliari a 19 anni e non mi sarei mai immaginato di fare questa carriera e di raggiungere queste soddisfazioni”.
Sei sbarcato in città nel 1999. Com’è stato il tuo approccio all’ambiente? All’inizio hai avuto qualche difficoltà.
“Giocavo nella primavera, dovevo ancora conoscere il calcio vero. Ho fatto piccoli errori di inesperienza, vista anche la giovane età, a cui ho per fortuna potuto rimediare”.
Quanto ha pesato portare sulle spalle quel cognome?
“Non è stato semplice, perché mio padre non è stato un calciatore qualunque. Fin dal settore giovanile ho sempre avuto gli occhi puntati addosso, la gente mi guardava e faceva i paragoni. Per fortuna mio padre ha lasciato sia me sia mio fratello liberi di scegliere quello che preferivamo fare. E devo dire che è andata bene a entrambi”.
Dei sedici anni giocati a Cagliari quale ricordi con maggior piacere?
“Sono stati tutti importanti ed emozionanti, anche i più sofferti, perché sono stati gli anni della maturità calcistica. E più passavano più mi sentivo legato a questi colori e a questa città. Ne ricordo due in particolare: la difficile salvezza del 2006-2007 e la cavalcata del 2008-2009 con Massimiliano Allegri allenatore. Abbiamo comunque raggiunto undici salvezze di fila, che abbiamo vissuto come vere e proprie vittorie scudetto”.
Un allenatore con cui ti sei trovato particolarmente bene?
“Ne sono passati tanti, anche perché con Cellino non sapevi mai cosa aspettarti (ride). Mi sono trovato bene con Lopez, perché siamo stati anche compagni di squadra e quindi ci conoscevamo bene. E poi con Allegri”.
Il tuo gol più bello?
“Ricordo con piacere quello fatto in casa, di testa allo scadere, contro il Napoli, nella stagione 2007-2008, che ci consentì di vincere la partita e di uscire da un periodo negativo”.
Veniamo al Conti Day. Com’è nata l’idea di organizzarlo?
“Il suggerimento è arrivato da mio padre e da mia moglie. L’anno scorso non avevo terminato bene la stagione, poi conclusa con l’amara retrocessione. Era quindi rimasto qualcosa in sospeso e non volevo chiudere con quel ricordo”.
La partita si sarebbe dovuta giocare domenica 22 maggio, ma alla fine è stata posticipata a lunedì 23. Perché?
“Quella domenica alcuni compagni non avrebbero potuto partecipare, perché impegnati in altre attività. Abbiamo così deciso di giocare il giorno dopo”.
Da qui nasce un aneddoto. Il 23 maggio 1991, infatti, è stato anche il giorno di addio al calcio di tuo padre Bruno. Sono passati 25 anni esatti, cosa ricordi di quel giorno?
“E’ stata una sorpresa anche per me. Appena l’ho saputo ho chiamato mio padre per chiedergli conferma. Era destino! Di quel giorno allo stadio Olimpico ricordo che sono rimasto attaccato a lui tutto il tempo, perché sia in campo che sulla pista era piano di gente e avevo paura di perdermi. La fotografia più bella l’hanno però regalata i tifosi: 80 mila persone che sventolavano a festa le loro bandierine colorate”.
Al Conti Day hanno preso parte sia Bruno senior sia Bruno junior, che milita nelle giovanili del Cagliari, con cui hai fatto le sostituzioni in un simbolico passaggio di consegne. Che effetto ti ha fatto?
“Un grande effetto, anche se ero molto teso già prima dell’inizio della partita. Mio figlio, poi, ha cominciato a piangere un quarto d’ora prima di entrare in campo. Al momento delle sostituzioni abbiamo pensato tutti a quello, ma Bruno jr. è ancora piccolo, deve solo pensare a divertirsi e giocare sempre con umiltà, serietà e rispetto”.
Negli anni hai rifiutato le offerte di altre società, sostenendo che la maglia del Cagliari era la tua maglia Azzurra. Sei sempre di quest’idea o hai qualche rimpianto?
“Nessun rimpianto, anzi. Ho avuto l’ennesima conferma proprio in occasione di questo evento: la vicinanza di tutte le persone che mi sono sempre state vicine in questi anni. Un affetto che non mi stancherò mai di contraccambiare”.
Cosa vorresti fare da grande?
“Da quest’anno sarò coordinatore tecnico delle giovanili del Cagliari e affiancherò il lavoro del direttore del settore giovanile Mario Beretta. Inoltre, oltre all’incarico nel vivaio, avrò la carica di ‘Ambasciatore del Club’: rappresenterò quindi il Cagliari negli appuntamenti istituzionali”.
Ti piacerebbe un giorno poter allenare la prima squadra?
“Per adesso non penso a fare l’allenatore, almeno non a quei livelli, perché mi costringerebbe a stare lontano dalla famiglia, con cui voglio passare invece più tempo”.
Hai quindi intenzione di rimanere a vivere in città…
“Almeno per i prossimi cent’anni! Amo Cagliari e la Sardegna, qui ho trovato la mia dimensione. E da qui non me ne andrei mai”.