TEMPO LIBERO

Filippo Tortu, storia e ambizioni dell’ultima freccia tricolore

Ha abbattuto il record storico di Mennea correndo i 100 metri in 9’’99 e riportato a Doha, dopo 32 anni, l’Italia in una finale mondiale

di Davide Lamagni

Forse, per un attimo, ad alcuni dei più incalliti (e nostalgici) cinefili, vedere correre Filippo Tortu avrà portato alla mente il protagonista di un vecchio film della Walt Disney degli anni ’70 "Nanù, il figlio della giungla", in cui un giovane indigeno dotato di una sorprendente velocità nella corsa viene convinto da due allenatori a partire con loro negli Stati Uniti per gareggiare durante una competizione scolastica.
Ad accomunare i due atleti, oltre alla giovane età e agli strabilianti record, un fisico possente, ma allo stesso tempo aggraziato ed elegante, senza eccessi. 

Filippo il 22 giugno 2018 è entrato nella storia dello sport nazionale per essere stato il primo atleta azzurro a scendere sotto i 10 secondi (9’’99) nei 100 metri, cancellando così un primato che apparteneva a Pietro Mennea dal 1979. Quest’anno è invece riuscito a centrare una delle finali più difficili, quella dei 100 metri dei Campionati mondiali di atletica leggera, riportando dopo 32 anni l’Italia a disputare una finale iridata . Il 28 settembre, a Doha, il 21enne velocista brianzolo ha ottenuto un ottimo settimo posto in 10’’07, entrando di nuovo nella storia del movimento nazionale: l’ultimo a riuscirci fu infatti Pierfrancesco Pavoni all’Olimpico di Roma nel 1987. 
Tortu fa parte di quel ricambio generazionale che, nelle varie discipline sportive, sta riportando il nostro paese sui palcoscenici che contano. Ecco allora le ragazze della pallavolo conquistare il bronzo all’Europeo, l’affacciarsi della nuova promessa del salto in alto Stefano Sottile e Larissa May Iapichino crescere nel salto in lungo; ma anche Matteo Berrettini scalare la classifica Atp di tennis o l’Italia di Mancini, targata “under 25”, volare verso Euro 2020.

Filippo partiamo dall’inizio. Quando è nata la sua passione per l’atletica?
"Ho iniziato ad avvicinarmi all’atletica molto presto, all’età di sei anni. In quel periodo mio fratello e mio padre si allenavano e per imitarli ho iniziato anch’io a frequentare il campo di atletica".

Quando ha capito di poter diventare un professionista?
"A 17 anni, nel momento in cui sono entrato nel gruppo sportivo della Guardia di Finanza, le ‘Fiamme Gialle’".

E' l’italiano più veloce di sempre. Com'è cambiata la sua vita dopo i 9’’99 sui 100 metri corsi a Madrid nel 2018?
"Mi piace pensare che la mia vita non sia cambiata troppo dopo quel record. Nei miei confronti c’è sicuramente un po’ di attenzione in più da parte dei media, ma è una cosa che mi fa piacere e alla quale do il giusto peso".

Popolarità e passione, onori e oneri. Come si gestiscono?
"Mi ritengo un ragazzo spensierato. Questo aspetto mi aiuta a rimanere concentrato sui miei obiettivi senza troppe ansie, restando sempre con i piedi ben saldati a terra".

Ha superato il record di Mennea che durava da quarant'anni. Il suo punto di riferimento è però Livio Berruti. Cosa vi accomuna, oltre al colore delle scarpe?
"Livio, sebbene sia di una generazione diversa, è l’atleta che mi assomiglia di più a livello caratteriale. Oltre al colore delle scarpe (ride) ci accomunano soprattutto il divertimento e la passione con cui pratichiamo lo sport".

Come si prepara prima di una gara? Ha qualche rito scaramantico?
"Da ragazzino ne avevo tantissimi. Ora non ne ho più, anche se prima delle gare mi piace continuare a giocare a scopone scientifico".

La sua giornata tipo?
"Mi sveglio alle 9.30, vado all'allenamento mattutino e rientro a casa per il pranzo. Studio e nel resto del pomeriggio, se c’è doppio allenamento (quasi sempre), torno in pista".

L’atletica è uno sport prettamente individuale. Quanto è importante raggiungere il miglior equilibrio tra mente e corpo? E come ci riesce?
"Credo che il bello dell’atletica consista nel fatto di essere completamente artefici del proprio destino. In questo la testa gioca un ruolo molto importante, più di quello delle gambe. E’ quindi necessario riuscire a trovare dentro di sé gli stimoli che consentono di trasformare la pressione in energia positiva".

Anche la staffetta le ha dato grandi soddisfazioni. Quali aspetti preferisce di questa specialità?
"La staffetta mi piace molto, perché è un momento di squadra all'interno di uno sport individuale. Gli altri staffettisti, poi, oltre a essere compagni, sono anche amici, per cui è ancora più stimolante condividere assieme a loro le gioie e i dolori di questo sport".

Quali passioni e hobby coltiva?
"Amo la musica e lo sport in generale, soprattutto il calcio e il basket".

Tifa Juventus. Recentemente è però riuscito a realizzare un suo grande sogno: andare in Argentina a vedere il “superclasico” Boca-River. Com’è stato ritrovarsi in uno dei grandi templi del calcio? Per chi tifava? 
"E’ stata un’esperienza unica, ho coronato uno dei sogni che coltivavo fin da bambino. Lo stadio era a dir poco strepitoso e, tra cori e sciarpate, ho tifato per il Boca!".

Suo padre è di origini sarde e lei ha tatuato sul fianco sinistro il profilo dell’isola. Che rapporto ha con la Sardegna e i suoi abitanti?
"Avere la Sardegna tatuata nel costato penso che valga più di molte parole. Anche se non ci ho mai vissuto per tanto tempo, l’isola è parte di me. Sono un ragazzo testardo e determinato e non cerco mai alibi. Questa penso sia una delle principali caratteristiche che mi accomuna ai sardi". 

E con suo padre? Lui le fa anche da allenatore... Quant'è servito il suo esempio nel farle prendere questa strada?
"Con mio padre ho un bellissimo rapporto. E’ una fortuna poter lavorare con lui tutti i giorni, ha una grande intelligenza sportiva. In pista manteniamo un rapporto professionale, lasciando da parte i reciproci sentimenti. Il suo esempio è stato ed è fondamentale". 

Torniamo alle gare. E’ riuscito a trasformare l’infortunio muscolare rimediato lo scorso giugno nella tappa americana della Diamond League in un’opportunità. Qual è stato il segreto?
"Semplice, la mia determinazione. E non cercare alibi mi ha spinto a voler dare sempre di più e puntare al massimo. Non ho mai mollato e mi sono allenato sempre e con maggiore grinta".

A Doha, a fine settembre, ha riportato l’Italia a una finale sui 100 metri che mancava da 32 anni. Che sensazioni le ha lasciato questo mondiale? 
"Doha è stata certamente la soddisfazione più grande e più bella che mi sono tolto con l’atletica. Gareggiare in finale mondiale con i migliori al mondo (vedi Gatlin e Coleman) mi ha dato una carica immensa e, allo stesso tempo, grande consapevolezza. Ma i prossimi obiettivi sono molto importanti, quindi guardo già avanti".

Tokyo 2020, Europei, Mondiali e, guardando più avanti, i Giochi di Parigi 2024 sono i prossimi grandi appuntamenti. Come si preparerà? Con quali obiettivi?
"Il 2020 sarà sicuramente la stagione più importante affrontata finora. L’obiettivo a Tokyo è certamente fare il massimo sia che gareggi sui 100 e sulla staffetta, su cui mi focalizzerò di più, sia sui 200 metri. Vado lì per giocarmi tutte le carte, provando a migliorarmi. Corro sempre per vincere, anche se so di non essere il favorito. Ma se si parte sconfitti, si è già sconfitti!". 

A soli 21 anni come si fa a vivere col cronometro sempre in mano? Più in generale, che rapporto ha con il tempo?
"Vivo da sempre con il cronometro in mano. Il tempo può essere il tuo migliore amico, ma anche il tuo peggior nemico. Un aspetto particolare dell’atletica, rispetto agli altri sport, è che non bisogna per forza vincere: l’obiettivo principale è infatti quello di abbattere i propri limiti, grazie alla certezza di un tempo e di un…cronometro".