Cibo e ambiente: quale futuro per il nostro pianeta?
La guerra agli sprechi deve condizionare positivamente la filiera alimentare su vasta scala
L’azione dell’uomo sull’ambiente, sempre più forte, determina riflessioni importanti su tutta la filiera alimentare, una delle più interessate dagli sprechi, e che può dunque avere impatti deleteri per il futuro di tutto il pianeta.
Uno studio del 2018 del Boston Consulting Group ("Tackling the 1,6 billion ton food loss and waste crisis") ha rivelato infatti che il volume di cibo non consumato ogni anno ammonta a ben 1,6 mld di tonnellate, con danni di proporzioni ragguardevoli sull’ecosistema. Un’enorme quantità viene scartata già a partire dai campi e altra ancora viene eliminata nelle fasi successive, fino a quando raggiunge le nostre case. Troppo spesso infatti compriamo più di ciò che mangiamo e crediamo, a torto, che la data di scadenza rappresenti un termine assoluto per il consumo del prodotto. A ciò si aggiunge l’eccessivo impiego di plastica, utilizzata per il packaging e per la conservazione. In particolare, la cultura del monouso sta portando a un enorme uso di questo materiale, il più difficile da riciclare, e al suo accumulo negli oceani, che provoca la morte di innumerevoli specie marine e arriva a formare delle vere e proprie “isole” di rifiuti galleggianti. Se è vero che gli imballaggi sono necessari per garantire igiene e freschezza, è tuttavia innegabile che vadano incentivate le produzioni di materiali alternativi, più ecologici e meno impattanti.
Che contributo può dare quindi il singolo cittadino? Innanzitutto è necessario prendere maggiore consapevolezza di quali conseguenze possono avere i nostri comportamenti, in particolare rendersi conto che lo spreco alimentare è determinato sia dalle scelte economiche dei produttori sia dai singoli consumatori finali, sempre più schiavi a loro volta dei criteri estetici di selezione da parte della grande distribuzione.
Esempio emblematico di come avvenga questo processo lungo l’intera filiera è quello della patata in Germania, cibo tra i preferiti dal popolo tedesco. Secondo un’inchiesta del "Die Zeit"(aprile 2019) la scrematura dei prodotti ritenuti non sufficientemente “estetici” inizia addirittura nei campi, quando le patate ritenute troppo piccole, dalla forma strana o danneggiate vengono gettate nonostante siano assolutamente commestibili. Tutto questo per rispondere alle esigenze dei confezionatori, che vogliono proporre ai supermercati “pezzi” in linea con le esigenze di marketing, appetibili e accattivanti per i clienti. Il numero di scarti paradossalmente raddoppia nel “biologico”, perché le patate coltivate con i metodi tradizionali sono più al riparo da pesticidi e virus. Ma anche per quanto riguarda la quantità di cibi che riesce a giungere sulle nostre tavole, non è detto che siano risparmiati dalla cattiva sorte. Infatti, spesso questi vengono buttati nei rifiuti per via della data di scadenza, abbreviata dalle aziende per non rischiare di incorrere in lamentele per prodotti andati a male prima del previsto.
Non mancano iniziative in controtendenza. Un esempio di eccellenza, molto vicino al nostro territorio, è il progetto di solidarietà "Food for soul": piatti preparati dai migliori chef e distribuiti ai poveri nel mondo. Si tratta di un’associazione no profit fondata dallo Chef stellato Massimo Bottura che si basa sul valore del recupero di ciò che finirebbe altrimenti nella spazzatura.
La grande sfida del nostro secolo è dunque quella della sostenibilità: il successo di associazioni e gruppi di pressione a livello internazionale sono il segno ineludibile che qualcosa sta cambiando nella mentalità comune, specie tra i più giovani. Occorre quindi una sinergia tra sensibilità collettiva, impegno da parte delle imprese, dei legislatori e dei cittadini per rendere il nostro consumo sostenibile per il pianeta.