"L’isola dei cani", la prima distopia politica di Wes Anderson
Con un nuovo film in stop motion il regista americano porta al cinema una storia di rivoluzione e di rivincita
Tutti conosciamo Wes Anderson per le simmetrie perfette, i colori pastello, gli spostamenti veloci della macchina da presa e i voice-over. Ne "L’isola dei cani", il suo secondo film in stop motion dopo "Fantastic Mr. Fox", ritroviamo infatti molti elementi ricorrenti. Ma questa volta c'è di più. La nuova pellicola è profondamente diversa da tutto ciò che Anderson ha realizzato fino ad ora, sia per le ambientazioni oscure e distopiche, sia per i temi politici e sociali piuttosto spinosi con cui non si era ancora confrontato.
Il regista è stato spesso criticato per la leggerezza delle sue storie da chi sosteneva che la bellezza estetica da sola non bastasse, ma con il nuovo film - vincitore dell’Orso d’argento per la miglior regia - ha fatto ricredere anche i più scettici. Paradossalmente il destino dei cinque cani protagonisti è più interessante e coinvolgente di quello di altri personaggi dei suoi film, che forse hanno meno verità da raccontare.
La storia è ambientata nel 2037 (un futuro che somiglia molto agli anni cinquanta), nella città fittizia di Megasaki, Giappone. Atari è un ragazzino di dodici anni alla ricerca del suo cane Spots, esiliato in seguito ad una diffusa influenza canina su un’isola destinata alla spazzatura dove verranno spediti anche tutti i suoi simili. A cacciare gli animali dalla città è stato l’amante dei gatti (e odiatore dei cani) Kobayashi, sindaco di Megasaki e zio di Atari. I veri protagonisti dell’avventura però sono i cinque cani Chief, Rex, Duke, Boss e King, che aiuteranno il ragazzino nella sua disperata ricerca e insieme a lui escogiteranno un piano per fuggire.
L’isola dei cani (in inglese Isle of dogs, leggibile anche come “I-love-dogs”) è un grande tributo al migliore amico dell’uomo e al cinema giapponese. Il film, però, si spinge oltre il semplice omaggio: al suo interno presenta infatti una forte allegoria politica di denuncia allo specismo, alla xenofobia e alla corruzione, tutti argomenti di forte impatto nell’epoca in cui stiamo vivendo.
L’intenzione iniziale di Anderson non era però quella di buttarsi su queste tematiche: tutto è nato anni fa dall’idea di voler fare un secondo film in stop motion con protagonisti cinque cani alpha (ecco spiegati i nomi da “leader”) su un’isola fatta di spazzatura. Quando poi il regista ha iniziato a scrivere il film, insieme a Roman Coppola e Jason Schwartzman, il mondo intorno a lui stava cambiando e, nonostante il soggetto e le ambientazioni fossero di fantasia, sentiva il bisogno di rifarsi alla storia e all’attualità.
Allo spettatore più attento che indaga oltre la poesia delle inquadrature perfette e la minuziosità dei modellini non sfuggirà uno dei nodi centrali del film, ossia la “lingua”, che in questo caso assume un forte significato politico. I cani parlano inglese (da noi doppiato in italiano), mentre gli uomini quasi esclusivamente giapponese. La traduzione ci arriva per tre vie differenti: un’interprete, uno studente e un macchinario elettronico. Non sempre però queste traduzioni sono affidabili e a volte addirittura non sono proprio presenti, portando lo spettatore a guardare gli uomini dalla prospettiva dei cani che tentano di comprendere un linguaggio sconosciuto. Alla fine, però, nessuno di loro ha bisogno di conoscere la lingua dell’altro per capirsi e rispettarsi.
La cifra stilistica di Anderson emerge anche dai piccoli dettagli come, ad esempio, l’assenza dei colori rosso e verde quando seguiamo la storia dal punto di vista dei cani che, si sa, sono quasi daltonici. O ancora nella scena di preparazione del sushi, dove ogni movimento del coltello è perfettamente calibrato e pulito, realizzata seguendo delle fotografie scattate in sequenza alle mani di un famoso chef all’opera. La sua metodicità e il suo perfezionismo sono ciò che lo contraddistinguono, nulla è mai lasciato al caso. Questa volta si è poi aggiunta una buona dose di concretezza e coraggio che, insieme alla sua sottile ironia e all’estetica perfetta, rendono il film una bellissima fiaba per adulti.