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Università Yale: il corso sulla felicità che batte ogni record

Iscritti 1200 studenti, 1 su 4 ha sentito il bisogno di seguire gli insegnamenti della psicologa Laurie Santos per imparare a essere felici

di Alessia Tieni

Yale. Università di Yale. L’ateneo del Cunnecticut con 317 anni di vita, di insegnamento, di storia e storie di studenti provenienti da diverse parti del mondo, ci rivela uno spaccato della nuova generazione, che fa riflettere. Nell’anno corrente Yale, tra le università più importanti e antiche al mondo, ha battuto ogni record grazie al corso “Psychology and the Good Life” tenuto della psicologa Laurie Santos. Iscritti 1200 studenti, per una serie di lezioni che insegnano ai giovani come avere una vita felice ed essere soddisfatti di quello che fanno. 

Un corso che altro non è che una risposta a un bisogno diffuso da molto tempo tra i frequentanti di Yale. Uno studio condotto nel 2013 dalla stessa università aveva infatti rivelato come la metà degli studenti iscritti avesse cercato cure mentali durante il corso di laurea di primo livello. “Gli studenti sono interessati al corso – ha spiegato la Santos al New York Times – perché negli anni del liceo hanno dovuto mettere in secondo piano la loro felicità per essere ammessi a scuola, adottando abitudini di vita dannose, che hanno portato a quelle che si chiamano ‘crisi di salute mentale’, che si vedono in posti come Yale”. 

Un atteggiamento, quello dell’università americana, che rivela una grande attenzione verso le esigenze dei propri studenti: “Molti di noi sono ansiosi, stressati, infelici, intorpiditi – ha detto una studentessa al New York Times – se un corso del genere ha tanto successo la dice tutta sul fatto che gli studenti sono stanchi di mostrare di essere insensibili”. 

La ricerca della felicità, il desiderio di stare bene e quell’ombra di insoddisfazione che accomuna molti studenti di Yale, non appartiene a Yale. Yale non è la causa dell’infelicità. Yale non porta inevitabilmente dallo psicologo. Piuttosto, il “caso-Yale” va a inserirsi all’interno di una sentimento molto più ampio, trasversale e diffuso, che va oltre un’università. 
Il “caso-Yale” è da intendersi come una finestra su una generazione attraversata da diversi contrasti; una generazione che ha tanto, ma non tutto, e quello che le manca forse è ciò che davvero conta. Una generazione sempre connessa, iper connessa, una generazione che vive sugli schermi. E ci sono diversi studi che attribuiscono la difficoltà a essere felici proprio a una vita eccessivamente virtuale. Tra questi, la ricerca condotta da alcuni psicologi dell’università di San Diego e della Georgia pubblicata su Emotion, una delle principali riviste dell’Associazione psicologi americani. La ricerca ha indagato il grado di felicità e di soddisfazione dei giovani a partire da quelli nati nel 1991, facendo emergere una connessione tra infelicità e tempo trascorso sul web.

Jean Twenge, psicologa dell’università di San Diego, sostiene che la felicità e l’autostima siano crollati nel 2012: “Questo è l'anno in cui la percentuale di americani in possesso di uno smartphone ha superato il 50% - spiega Twenge - Il più grande cambiamento nella vita dei ragazzi, tra il 2012 e il 2016, è stato l'aumento della quantità di tempo trascorso sui dispositivi digitali e il conseguente declino delle attività sociali e del sonno. L'avvento dello smartphone è la spiegazione più plausibile dell’improvviso declino del benessere psicologico degli adolescenti". 

Yale ha dato una propria e personale soluzione a un malessere che si è insinuato e diffuso tra i cosiddetti millennials: la mancanza e la conseguente ricerca della felicità. L’università ha risposto con un corso che educa all’essere felici e aiuta a disegnare la strada verso la propria soddisfazione personale. Il tutto faccia a faccia, lontano dagli schermi e dal mondo virtuale, immersi nella realtà, quella di tutti i giorni.